Il Terziere di Borgo è storicamente uno dei tre terzieri che compongono il centro storico di Abbadia. In ordine cronologico è l’ultimo dei terzieri ad essere sorto a ridosso delle più antiche mura medievali che fino a quel momento avevano racchiuso le zone ricomprese tra il terziere dei fabbri e il terziere maggiore. Questa zona è molto caratteristica perché rappresenta un po’ il confine storico tra il borgo e la vallata, tra la montagna e la campagna e proprio per questo motivo conserva in sé alcune particolarità uniche. Oggi proviamo a svelarne tre che non sono così conosciute e si sono un po’ perse nel tempo.

Perché l’Antea si chiama così:
L’Antea è quella zona che circonda il borgo guardando verso valle a est, dove all’orizzonte domina la Rocca di Radicofani. Oggi è una zona prevalentemente adibita a parcheggi, orti e ospita un parco molto apprezzato soprattutto per la sua vista panoramica dalla quale si scorge la valle del fiume Paglia e sullo sfondo si staglia il Monte Cetona. Il nome “Antea” non è in realtà di derivazione latina come si potrebbe pensare in un primo momento, ma greca.
Sebbene non accampionata si accenna la strada che dal granaio dell’illustrissimo signor capitano Filippo Sarti passando dalle porte di sotto delle stalle, conduce al podere Sarti dell’Antea (grecamente: fiori)
Così si legge in una testimonianza del 1939 che ricorda il Settecento amiatino. Dunque, il nome Antea deriverebbe dalla parola greca “Anthos” (fiore, appunto) e a conferma di ciò ci corre in aiuto anche la toponomastica. La via che attraversando il borgo e costeggiando il Teatro Servadio porta ancora oggi verso l’Antea (oggi via Ugo Bassi), un tempo era detta “Vicolo dei fiori” non a caso. Possiamo quindi solo immaginarci quale paesaggio meraviglioso di campi fioriti si stendesse verso la valle, parandosi davanti agli occhi dei visitatori nei tempi passati.

Perché la Porta dei mulini si chiama così:
Il Monte Amiata è storicamente ricchissimo di acqua (che ancora oggi è un bene preziosissimo per tutta la Toscana meridionale). Abbadia non fa affatto eccezione. Oggi non ci si rende troppo conto perché il paesaggio che stiamo per descrivervi è quasi tutto sotterraneo, ma un tempo tutta la terra attorno al centro storico di Abbadia era circondata da una moltitudine di corsi d’acqua, torrenti e laghetti. Quella che oggi è Piazza della Repubblica ospitava un ponte di pietra che sormontava uno di questi fiumiciattoli e l’acqua proveniente dalla montagna si depositava ai piedi della chiesa di Remedi, proprio a ridosso del Terziere di Borgo. Come è normale intuire, quest’acqua era da sempre stata utilizzata sin dall’epoca rinascimentale anche come forza motrice per azionare opifici idraulici e mulini. La Porta dei mulini (o ciò che ne resta) che oggi sta alla fine del Borgo e si apre verso valle, ospitando tra l’altro anche il percorso della Via Francigena, era il varco di collegamento tra il paese e quest’area dove era presente l’attività di mulini e opifici idraulici.

Perché il Teatro Servadio si chiama così:
Lo abbiamo citato di sfuggita poco fa. Il Teatro Servadio è un piccolo teatro che sta al confine tra la parte più antica del castello medievale e il Terziere di Borgo. La sua costruzione fu voluta da due delle più importanti famiglie di Abbadia del 1800, la famiglia Gragnoli e la famiglia Carli. Luigi Gragnoli in particolare era un autentico istrione, appassionato di musica e recitazione, aveva iniziato a realizzare piccoli spettacoli nella stalla davanti casa propria, a pochi passi dalla chiesa di San Leonardo. Quando si decise la costruzione del teatro, molto probabilmente venne coinvolto anche il deputato e banchiere Giacomo Servadio che, oltre ad essere un musicista, era anche impresario teatrale. A lui venne dedicato il piccolo teatro che oggi è un gioiellino capace di ospitare non più di un centinaio di persone.