Era il 1996. In quell’anno il mondo dei videogiochi avrebbe conosciuto la svolta dei 64 bit che per la prima volta permettevano la grafica tridimensionale, Osama bin Laden avrebbe reso pubblico il suo primo messaggio di odio contro l’America e lo scrittore statunitense Chuck Palahniuk, nel tantitvo di prendere in giro l’editore che non aveva voluto pubblicare il suo libro, avrebbe scritto Fight Club, diventato poi uno dei romanzi (e film) più celebri della storia.
Ma nell’estate di quell’anno tutti gli occhi sono puntati sull’America per un altro motivo: è l’estate dei Giochi Olimpici di Atlanta.
Nella pista di atletica di Abbadia San Salvatore si allena un mezzofondista che le competizioni mondiali le conosce bene. Venuste Niyongabo, tuttavia non ha mai partecipato alle Olimpiadi. Ci arriva dopo una crescita folgorante. Dal suo esordio come professionista, appena tre anni prima a Stoccarda (dove per altro era stato eliminato solo in semifinale, lasciando intravedere il suo enorme potenziale), si è allenato duramente, ci ha messo corpo e anima tanto che al Mondiale di atletica leggera del 1995 a Goteborg, in Svezia, se l’è giocata con i più grandi della Terra sui 1500 metri, la sua specialità.
Alla fine l’esperienza svedese gli è valsa la medaglia di bronzo dietro a due giganti come l’algerino Morceli e il marocchino El Guerrouj.
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Niyongabo in Italia abita dal 1993, da quando ha deciso di diventare un atleta di professione ed ha lasciato il suo Burundi per Siena. Ha fatto una scelta coraggiosa, lasciando la sua famiglia in Africa, primo di nove fratelli. Proprio in Africa ha imparato a correre così, perché se non hai la macchina, se non hai mezzi pubblici né animali da trasporto, ti restano solo le tue gambe.
Quando arriva in Italia per lavorare al fianco del manager Enrico Dionisi è il mese di gennaio. Venuste è abituato all’altitudine (Vugizo, la sua città di origine, è a 1400 metri) ma non al freddo che non sopporta e così i primi mesi sono doppiamente duri perché, oltre al clima, si sommano nuove abitudini e una lingua che non conosce.
Nella preparazione delle Olimpiadi, Niyongabo sceglie Abbadia tra le sue mete primaverili e chiede consigli su come allenarsi ad un grande campione come il marocchino Saïd Aouita (tra i più forti mezzofondisti al mondo negli anni ’80) che per Niyongabo è un autentico idolo. Si allena con grande fatica e passione, ma anche con un raziocinio ed una freddezza che farebbero invidia ai grandi strateghi del passato.
Per il suo Burundi è la prima Olimpiade della storia e Venuste non vuole fallire, non ci pensa neanche, anche a costo di abbandonare i suoi 1500 per tentare la sfida sui 5000 metri. Gebreselassie ha puntato tutto sui 10.000, Boulami e Bitok sono alla sua portata. Sa che, se le batterie di qualificazione non lo sfiancheranno, potrà farcela.
Così, arrivati negli Stati Uniti, Niyongabo lascia tutto in sospeso fino all’ultimo. Si iscrive ad entrambe le gare finché all’ultimo, decide di puntare tutto sui 5000. L’anti-Morceli, come lo avevano forse troppo frettolosamente ribattezzato i giornali, sta puntando un’altra preda.
La gara è una perfezione di atletismo e tattica e negli ultimi 800 metri Niyongabo mette in campo una strategia che più volte aveva utilizzato anche in passato. “Che mi vengano a prendere!” Pensa tra sé mentre aumenta la falcata, le gambe macinano come un rullocompressore e la pista rossa scorre sempre più rapida sotto le suole. Niyongabo, che fino a quel momento era dato tra i favoriti dei 1500, sorprende tutti e vince l’oro olimpico sui 5000.
Quella primavera del ’96, prima di andare a perfezionare la sua forma fisica in Brasile, Venuste Niyongabo è all’Hotel Fabbrini e si allena sulla pista di atletica che dall’hotel è a soli pochi passi.