È nata agli inizi degli anni 80 e da allora non ha mai smesso di crescere e di far sognare centinaia di sportivi, appassionati della corsa in montagna.
La Salitredici non è una semplice gara podistica, è prima di tutto una sfida con se stessi, con il proprio fiato, con le proprie gambe. Ma è anche un duello con la montagna e nel rispetto della montagna.
Passione e preparazione sono due elementi fondamentali per chiunque scelga di affrontare i 13 chilometri, tutti in salita, che conducono dallo stadio comunale di Abbadia San Salvatore alla vetta del Monte Amiata, tra tornanti e pendenze talvolta davvero probanti. Si potrebbe dire una questione di testa prima di tutto. La montagna ti obbliga a conoscerti, a capire quando devi rallentare, tenere il tuo passo senza lasciarti prendere dalla foga e quando invece puoi osare, su quel falsopiano, in quel momento in cui ti senti di averne e provi a incrementare l’andatura. Testa, cuore, rispetto.
Perché affrontare la montagna richiede rispetto? Perché arrivare impreparati, cercare di dominare la lingua d’asfalto che si allunga sinuosa sotte le fronde ombrose di castagni e faggi senza aver studiato bene il percorso, non potrà che lasciare l’amaro in bocca di una sfida persa. Per questo molti atleti che vogliono affrontare la Salitredici cominciano a prepararla sin dalla primavera. Le gambe vanno abituate alla fatica della pendenza quasi continua, il respiro va allenato a non abbandonarti quando le curve si ripetono una dopo l’altra e sembrano non finire più, la testa va preparata alla grinta, va predisposta al rispetto, appunto.
Questa è la Salitredici, conoscere se stessi nel tempo che richiede l’allenamento, sorprendersi al momento della gara. Poco importa come si arriva in classifica, l’importante è arrivare in cima perché dopo la linea del traguardo solo una cosa attende gli atleti: la soddisfazione di avercela fatta.