È il 1072, in un’Italia nel pieno dell’età feudale e della Lotta per le investiture una donna sta sfidando ogni regola del suo tempo per difendere il feudo di suo padre. Questa donna è Matilda di Canossa.
Dopo la morte del padre Bonifacio nel 1052 e del fratello, la nobile dama dei Canossa si è ritrovata a vivere una vita ricca di peripezie e contrasti con uomini potenti e affamati delle sue terre e della sua ricchezza. Il nemico, neanche troppo celato, è nientemeno che l’Imperatore Enrico IV che sostiene con fermezza l’impossibilità per Matilda di ereditare i possedimenti feudali del padre che si estendono dall’Italia centrale a quella settentrionale, dalla Toscana all’Emilia Romagna.
Il motivo, per Enrico è molto semplice: Matilda è una donna. Impossibile che una donna possa ereditare i beni del padre, impossibile che possa governare delle terre.
A complicare il quadro, già di per sé molto complesso, ci si mette l’ingombrante e ostile presenza dell’ex marito di Matilda: Goffredo il gobbo. Un uomo che la contessa aveva dovuto sposare in tenera età proprio per non rischiare di dover rinunciare per sempre alle terre dei Canossa, essendo rimasta l’unica a poter accampare diritti su quei possedimenti oltre all’Imperatore stesso. Ma Matilda è riuscita ad ottenere il divorzio da quell’uomo che non ha mai amato e mai potrebbe amare, diventato suo sposo solo in circostanze drammatiche e contro ogni sua volontà. Adesso Goffredo non vede l’ora di prendersi la propria rivincita ed è apertamente schierato dalla parte dell’Imperatore, contro colei che fu la sua consorte.
Nel giugno del 1072, Matilda e l’inseparabile madre Beatrice viaggiano verso il Monte Amiata e più precisamente verso l’Abbazia del San Salvatore per partecipare ad un placito (per dirla in modo molto semplice, una sorta di arbitrato dell’epoca feudale). Qui la Grancontessa rimane affascinata dalle abilità oratorie e dalla profonda cultura di un uomo in particolare, un monaco noto nella zona per la conoscenza degli antichi testi di diritto. Pepo (o Pepone), così si chiama quel benedettino, deve aver fatto davvero una bella impressione alla nobildonna se, dopo quell’occasione, decide di conferire con lui e di confidargli le proprie travagliate vicende.
Pepo Advocatus è uno studioso di diritto. I codici dell’antico Diritto romano, che sta contribuendo a copiare e salvare dal passato grazie probabilmente al portentoso Scriptorium dell’Abbazia di San Salvatore, sono la fonte della quale si avvale per portare dalla propria parte la ragione. Possiamo solo immaginare la soddisfazione di Matilda di Canossa nell’apprendere dalle parole di quel monaco che no, nel Digesto del Codice giustinianeo non esisteva divieto alcuno, per una donna di ereditare i beni del padre, che era perfettamente in uso nella civiltà romana, tanto compianta e così ammirata, che le donne potessero essere ereditiere e possidenti e che quindi lei, Matilda, aveva tutto il diritto di rimanere propietaria feudale delle terre dei Canossa a tutti gli effetti e nulla avrebbero potuto né l’imperatore, né Goffredo il gobbo. Avrebbe forse voluto l’Imperatore Enrico IV, che proprio a quello romano ispirava il suo impero (così come i suoi predecessori avevano fatto prima di lui) contraddirne le norme e le leggi?
Della storia del monaco Pepo si conosce poco altro, ma si sa che è Matilda a volerlo sempre al proprio fianco all’interno della corte e che lo porta con sé in Emilia e in Romagna. Qui Pepo insegnerà ad alcuni giovani e appassionati studiosi di diritto romano, tra i quali colui che diverrà noto come “il Maestro”, quell’Irnerio da molti riconosciuto come il padre dello Studium bononiensis, l’Università di Bologna, la più antica università del mondo occidentale.
Così quando ancora oggi entriamo all’interno dell’Abbazia di San Salvatore, della sua cripta, tra le sue mura di pietra trachitica, ce lo immaginiamo quello scriptorium in piena attività, ricco di cultura e di personaggi straordinari. Là dove Pepo (che presero a chiamare anche legis doctor) per primo in Italia riscopriva il Diritto romano e dava il via ad una corrente di studiosi e pensatori che avrebbe fatto nascere l’Università.