I seccatoi: un ruolo chiave nella vita quotidiana della gente di montagna
Esistono alcuni luoghi all’apparenza indistinguibili e che all’occhio meno attento possono sembrare di scarso valore ma che in realtà raccontano nel loro piccolo una parte di storia. Se si gira per le vie del centro storico di Abbadia San Salvatore non sarà raro potersi ritrovare davanti ad un “seccatoio“.
Per quanto di piccole dimensioni e ad una prima occhiata simili ad un normale fondo o ad una cantina, i seccatoi avevano in realtà un ruolo chiave nella vita quotidiana della gente di montagna che condivideva (per forza o per amore) i ritmi e le stagioni della natura e scandiva la propria quotidianità sulla base del tempo, del clima, dei frutti che la montagna offriva. Le castagne, che ancora oggi vengono celebrate nella Festa d’autunno ed in generale sul Monte Amiata nelle molte sagre e feste che contribuiscono ad impreziosire il periodo autunnale amiatino, fino a non molti anni fa erano una delle materie prime principali della cucina di questi luoghi ed in alcuni momenti dell’anno quasi l’unica.
Sembra trascorso un tempo infinito, collegato ad una memoria ancestrale che si affievolisce negli anni, eppure non stiamo parlando che di un paio di generazioni o tre; di una finestra temporale di una settantina d’anni.
Ma come funzionava un seccatoio?
Il seccatoio (come suggerisce il nome) era il luogo deputato all’essiccazione delle castagne. Aveva una grandezza che poteva variare dai 15 ai 20 metri quadrati circa (ma ce n’erano anche di più piccoli), per un’altezza che arrivava al massimo a circa 2 metri e mezzo. All’interno l’edificio era diviso in due da un graticcio di legno (una sorta di griglia) sul quale venivano poste le castagne ad essiccare. Queste dovevano essere più volte girate, un’operazione molto complessa, spesso svolta solo dai più esperti in famiglia.
Sotto il graticcio stava il luogo del fuoco che con il suo calore ed il fumo che saliva verso l’alto asciugava e seccava le castagne. E questa era forse la parte più affascinante del seccatoio, poiché lì dove la brace del legno di castagno ardeva diventava il luogo delle storie, delle leggende e delle canzoni, lì dove tutta la famiglia si ritrovava nelle fredde sere d’autunno (ottobre e novembre soprattutto) e al caldo del focolare attendeva come un rito l’essiccazione delle castagne, i bambini ascoltavano i nonni e gli anziani raccontare fiabe e filastrocche.
Le travi del soffitto erano forse la migliore unità di misura che permettesse di capire se le castagne fossero pronte o meno. Se le travi erano umide c’era ancora da aspettare, se invece non lo erano più significava che le castagne avevano completato il processo di essiccazione. A questo punto, con metodi tradizionali che si tramandavano di generazione in generazione, ci si preoccupava di pulire le castagne dalla buccia per poi ricavarne la preziosa farina che valeva come alimento indispensabile per superare il rigido inverno della montagna.
Così, se girando per il centro storico di Abbadia o di uno dei borghi del Monte Amiata o, ancora, lungo uno dei sentieri in montagna vi capiterà di imbattervi in una di queste minute, insolite e vecchie strutture, ebbene sappiate che da lì passa un piccolo pezzo della vita quotidiana della storia delle genti dell’Amiata e di uno dei suoi più rinomati, preziosi e deliziosi frutti: la castagna.